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Stampa alla resina

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Nelle Marche, in provincia di Macerata, c’è un “piccolo monte": il San Vicino, a cui sono molto affezionato.

Benché da vecchio speleologo dovrebbero principalmente interessarmi monti con grotte da esplorare, e di queste non ce ne sono, pur tuttavia è un posto che ho frequentato tantissimo. Ci vado d’inverno a fare sci da fondo, in primavera a raccogliere funghi, in estate e in autunno a camminare e durante tutto l’anno a fotografare.

 

Il San Vicino inoltre è un monte isolato e dalla sua vetta si spazia dal mare ai Monti Sibillini, a quelli della Laga, al Monte Catria (altra mia passione). Ma la sua caratteristica per me molto coinvolgente è che sui pianori sommitali ci sono dei fantastici boschi di faggio. Uno dei punti più interessanti è la faggeta di Canfaito, dove questi alberi assumono proporzioni davvero fuori dal comune: ad esempio in un vecchio faggio dal tronco ormai cavo possono benissimo entrare tre o quattro persone.

 

Altri faggi dalle forme insolite, mai visti in altri posti, sono quelli che pur di notevole stazza presentano come caratteristica principale l’avere molti dei loro rami più bassi che rasentano il terreno, e a volte addirittura lo toccano. E allora, direte voi? Provate a pensare ad un albero con un tronco dal diametro di alcuni metri con dei rami che si protendono a raggiera anche per una decina di metri. Non solo, alcuni di questi se ci salite sopra non si accorgono minimamente del vostro peso.

 

Capirete che la voglia di fotografarli sia in me presente. Purtroppo nonostante ci abbia provato più volte non c’è mai nessuna delle foto fatte che mi sia piaciuta veramente, e che sia rappresentativa di quelle emozioni che provo quando sono li per fotografarli. Il problema è che anche se la faggeta è piuttosto fitta, gli alberi per loro essere si stagliano contro il cielo (sono in un vasto pianoro) e fotografandoli “normalmente” appaiono poi come dei mostriciattoli neri su di un fondo bianco, o comunque molto luminoso.  Quando ci sono le foglie poi queste coprono quasi del tutto la struttura dei rami, mentre quando non ci sono, in inverno, i rami spogli  di ogni albero si confondono con quelli dei vicini, creando una struttura ramificata e confusa a cui manca qualsiasi senso estetico.

 

Quello che volevo riprendere era un albero spoglio dove la struttura dei rami fosse ben visibile che si stagliasse contro uno sfondo uniforme e scuro.  Vista la mole dell’albero non potevo certo metterci un telo nero che da dietro facesse da sfondo.

 

Dopo qualche anno di prova e riprova (foto banali) mi venne l’idea di fotografarlo di notte e di illuminarlo con un lampeggiatore elettronico.  In questo modo lo sfondo sarebbe divenuto scuro e gli alberi che stavano dietro non sarebbero stati illuminati, al contrario dell’albero “soggetto” che potevo illuminare a mio piacimento.

 

Come fare in pratica?  Dovevo prima di tutto aspettare che cadessero le foglie, quindi novembre, ma non andare troppo oltre per evitare di trovarmi in mezzo alla neve.  La faggeta di Canfaito è a quasi una decina di chilometri dalla casa più vicina, e non ci si arriva in macchina, ma c’è da fare un po' di strada a piedi. Andarci ovviamente di notte in un posto così isolato  non è proprio semplice né scevro da pericoli (non è una battuta in quanto di notte ci sono in giro i ladri di bestiame ed è meglio non incontrarli).

Ma la voglia di farlo era tanta che alla fine presi la decisione.

 

Io e Franca (fida compagna, moglie e sherpa) partimmo da  Ancona una sera di metà novembre ed arrivammo a Canfaito verso le 9 che era buio pesto. A parte delle luci elettriche, per maggior sicurezza mi ero portato la classica lampada a gas da campeggio che con la sua potenza ha fatto veramente comodo.  Una cosa che non avevo previsto è che il bosco di notte è totalmente diverso da quello illuminato dal sole, tant’ è che pur arrivato sul posto ci misi una mezz’ora a trovare il “mio” albero.  Mi immagino se ci fosse stato uno spettatore cosa avrebbe pensato nel vedere due tipi pazzoidi, carichi come muli, che se ne andavano in giro nottetempo per il bosco con una lampada a gas. Ovviamente a maggior suggello della scena irreale c’era anche una leggera nebbiolina rasente al suolo che faceva tanto Frankenstein Junior.

 

A parte un robusto cavalletto quale macchina fotografica utilizzare? Avrei voluto portare una Linhof Tecnicka in formato 4x5” ma il problema era che a quei tempi non avevo per questa un grandangolo sufficientemente spinto, e quindi ripiegai sulla Mamiya Press Super 23 in formato 6x9, che poteva montare un ottimo 50mm che su questo formato equivale ad un 25mm sul 24x36. Poco male se dovevo lavorare in rullo 120. Avevo capito che l’esposimetro non mi sarebbe stato di grande aiuto e quindi per calcolare la esposizione, pur se con il lampeggiatore elettronico, feci affidamento sul numero guida.  Pensai: un pò il freddo e con l’umidità della notte non è che il lampeggiatore mi farà qualche scherzo e si blocca a metà lavoro? Meglio essere previdenti; per cui mi portai dietro due vecchi lampeggiatori a lampadine che una volta utilizzavo per fare foto speleologica. E un centinaio di lampadine.

 

Giunti sul posto apro il cavalletto e monto la macchina e osservo l’immagine sul vetro smerigliato: nonostante la lampada a gas e due pile elettriche accese non si vede un accidente. Dopo tutto non è stata una cattiva idea quella della Mamiya Press in quanto come alternativa al vetro smerigliato ha anche un mirino aggiuntivo molto pratico e luminoso. Metto a fuoco a stima e inquadro con il mirino. Accidenti non si riesce a farci entrare tutto e purtroppo non posso arretrare. Alla fine alzo il cavalletto a un metro da terra, inquadro in verticale e piego la macchina tutta in alto. In pratica mi sto fotografando i rami che ho sopra la testa: ma così l’inquadratura mi piace.

 

Porto la lampada a gas il più lontano possibile in modo che faccia arrivare sul soggetto solo un minimo chiarore non influente spero sull’immagine, ma che mi permetterà di non inciampare quando incomincerò a sparare lampi e a spostarmi di continuo per coprire tutto il soggetto. In effetti è più vasto di quello che pensavo e ci vorranno tanti lampi. Di tanto in tanto, quando devo cambiare  posizione faccio mettere davanti all’ottica un morbido tappo in neoprene per evitare che troppa luce della lampada arrivi sul soggetto. Teoricamente lo dovrei fare dopo ogni lampo ma sarebbe troppo complicato e il rischio di muovere la macchina troppo grande.

 

Alla fine il mio albero si assorbe circa una ventina di lampi con l’elettronico e una decina di quelli a lampadina. Dopo la seconda immagine ho scaricato il lampeggiatore e quasi dimezzato le scorte di lampadine anche perché per avere una maggiore potenza ne mettevo due alla volta tenute insieme con un giro di nastro adesivo trasparente. In questo modo ottenevo un numero guida raddoppiato. Fine del lavoro… due scatti e due ore di tempo.

 

Il giorno dopo sviluppo il negativo che è venuto piuttosto bene. Ora il problema è come stamparlo. 

La prima prova in B&N mi fa capire che non rende: quasi quasi provo a dargli un po' di colore con un viraggio. Il seppia non mi piace e il selenio lo trovo poco adatto, e sto pensando di cimentarmi con un viraggio rosso-bruno di cui non ho nessuna esperienza. Unica e saggia decisione è: ci penserò con calma.  Poi qualche mese dopo la svolta. Stavo organizzando con la pinacoteca di Jesi una mia mostra sulle Antiche Tecniche e la direttrice Loretta Mozzoni - donna eccezionale - mi fu di molto aiuto e unica cosa che chiese in cambio era, se possibile, di mettere una mia stampa fatta proprio per quella occasione.

Non potevo dirle di no considerato anche che ero un suo ospite e che tutto era per me gratuito.

 

Misi insieme le cose e venne fuori la soluzione. Mi dissi: la foto dell’albero è inedita e per sovrappiù la voglio stampare in Resinotipia. E così feci.

 

 

 

Brevissima descrizione di una Resinotipia. L’immagine si forma su di un foglio di carta gelatinato ed è composta da piccoli granelli colorati. Per tale fatta “i bianchi” sono lisci e lucidi mentre i toni scuri sono ruvidi e opachi e sono letteralmente “appoggiati” sulla carta. Quindi in rilievo. E al tatto e alla visione questo si percepisce molto bene.

→ Stessa immagine stampata in B&N e i rami dei faggi rasoterra

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